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Cambiare tutto per non cambiare nulla. L’analisi e le proposte di Legambiente Umbria per un’economia circolare dei rifiuti

Nel 2020 parlare per l’ennesima volta di revisione del Piano Regionale Gestioni Rifiuti ci sembra un modo quantomeno sorpassato di porre il problema della gestione del fine vita dei materiali.

Anche la cosiddetta “chiusura del ciclo”, un termine abusato e smascherato diverse volte, e che ora torna in auge anche con questa nuova Giunta regionale, si risolve sempre nella presunta necessità di bruciare qualcosa, bypassando completamente tutto quello che ancora c’è da fare per evitare il ricorso agli smaltimenti vecchia maniera.

In Umbria permangono delle sacche di inefficienza e delle carenze conclamate che non si risolvono con artifizi oratori ad effetto, ma solo col lavoro e la fatica per cambiare quello che non va.

Un po’ di storia

Il Piano Regionale dell’Umbria risale infatti al 2009 e nasceva dall’applicazione della legge 152 del 2006, quella che tanto per intenderci chiedeva di raggiungere il 65% di raccolta differenziata entro il 2012 (obiettivo nemmeno ancora raggiunto in molti comuni umbri, in particolare nell’area Valle Umbra Sud). Il PRGR proponeva la chiusura del ciclo con due inceneritori da realizzare nelle due province, soluzione che è stata poi oggetto di un Piano di revisione nel 2015 (DGR 23/2015) che stralcia l’idea degli inceneritori e avanza l’ipotesi del CSS.

Dopo una serie di DGR (la 34 del 2016 e la 1409 del 2018) viene chiesto ai comuni di raggiungere il 72,3% di differenziata, allo scopo di ridurre il rifiuto secco residuo fino ad arrivare a 50.000 tonnellate all’anno entro il 2026. Delibere in linea con il pacchetto europeo sull’economia circolare e la direttiva SUP (Single Use Plastics) indicando rispettivamente precisi obiettivi di riciclo e azioni volte alla diminuzione di rifiuti in plastica monouso.

A che punto siamo

In questo momento L’AURI ha il compito di realizzare un piano d’ambito regionale in base alle linee guida regionali così come previsto dalla 152/2006. Il Piano che si basa sulla ricognizione dell’impiantistica esistente,    dovrebbe definire i fabbisogni futuri e quindi  anche  pianificare i flussi del secco residuo, ovvero decidere come usare i volumi residui delle discariche e soprattutto come gestire questo ipotetico CSS che a tutt’oggi in Umbria non viene né prodotto (gli impianti di TMB non hanno mai attivato queste linee), né tantomeno ha un vero e proprio mercato. Come si concilia questo percorso già avviato con la nuova revisione del piano regionale ancora non è dato saperlo.

Ad oggi però le uniche dichiarazioni, le informazioni e le indiscrezioni che trapelano sono ripensare ad un  nuovo Piano regionale dei rifiuti e  pongono l’attenzione soltanto sulla chiusura del ciclo.

Le proposte di Legambiente

Da un’amministrazione regionale autoproclamatasi di cambiamento, che aveva visto nella evidente immobilità delle vecchie amministrazioni un limite anche da noi più volte sottolineato, ci saremmo aspettati un nuovo approccio nell’affrontare il problema rifiuti: non più dalla coda, ma con una visione ben più ampia, circolare, che affronti la produzione, il consumo oltre la valorizzazione del fine vita dei materiali.

In particolare alla nuova Giunta, al consiglio regionale nel suo complesso e  al (misterioso) comitato tecnico scientifico chiamato a supportare le scelte politiche, proponiamo anzitutto questi aspetti pratici da valutare:

1.     In primo luogo di attivare un’azione di controllo e verifica degli stati di avanzamento delle raccolte differenziate nei comuni, perché ancora solo una minoranza di essi ha raggiunto le % richieste dalla DGR 34, e questo porterà necessariamente a non raggiungere gli obiettivi di secco residuo da portare in discarica, con evidente riduzione del tempo di vita delle discariche stesse. Da sempre infatti tra le azioni decise a livello centrale e poi attuate nei territori non c’è mai stata una vera attività di controllo, anche sanzionatoria, nei confronti di quelle realtà che puntualmente disattendono obiettivi e indicazioni. Un esempio su tutti l’area folignate-spoletina con il Comune di Montefalco, da cui la Presidente di Regione proviene anche come esperienza amministrativa, che spicca per le sue performance molto negative.

2.     Attuare in maniera organica e a tutti i livelli amministrativi i criteri ambientali minimi (e il cosiddetto GPP) per gli acquisti e gli appalti pubblici. Questo aiuterebbe in maniera decisiva lo sviluppo e l’affermazione delle aziende circolari e green.

3.     Verificare e accelerare lo stato di avanzamento della tariffa puntuale che alzerebbe ulteriormente il livello di consapevolezza dei cittadini sul tema.

4.     Pianificare e calibrare l’impiantistica regionale di trattamento di tutti i flussi, differenziati e non, agevolando ad esempio la creazione delle cosiddette fabbriche dei materiali (come quella che l’azienda pubblica che gestisce i rifiuti vuole realizzare a Terni e che però non è gradita ai romani di ACEA). Ma anche realizzare le filiere di riciclo a partire dalla plastica di cui la Regione, e non solo, è rimasta sprovvista.

5.     Valorizzare il fine vita dei materiali (vedi legge di End of waste) e tutti quei prodotti da riciclo che se non avranno un mercato rendono vana la raccolta differenziata stessa e valorizzare il compost quale prodotto da riciclo della sostanza organica all’intero delle filiere della bioeconomia.

6.     Incentivare le attività produttive verso l’ecodesign al fine di aiutare le imprese del territorio a produrre beni e servizio in ottica di bioeconomia circolare.

La nostra proposta è quindi quella non tanto di rifare un ennesimo piano regionale di gestione dei rifiuti, per non arricchire il lungo elenco di documenti teorici puntualmente disattesi o trasformati, quanto ripartire proprio da una legge operativa sull’economia circolare, che integri e premi la filiera del riciclo dei materiali con le attività produttive e con politiche attive di consumo e produzione consapevoli. Non è un caso che uno degli obiettivi centrali dell’Agenza 2030 (il numero 12) promuove l’integrazione dei sistemi produttivi e di consumo in ottica di economia circolare e spinge a raggiungere anche altri importanti obiettivi, quali la crescita economica e sostenibile, capace di favorire l’aumento dei posti di lavoro (obiettivo 8), la creazione e lo sviluppo di aziende innovative (obiettivo 9) così da avere un’azione positiva sulle matrici ambientali quali acqua, suolo e per arrivare anche a combattere la battaglia più grande di tutti che è il cambiamento climatico (vedi obiettivi 13. 14 e 15).

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