Il 1978 fu un momento straordinario di battaglia sociale, pieno di manifestazioni centrate sul concetto di autodeterminazione. La Legge 194, che depenalizzò e disciplinò le modalità dell’interruzione volontaria di gravidanza, sancì il diritto della donna ad interrompere la propria gravidanza in sicurezza e nell’ambito del sistema sanitario nazionale, rompendo il velo di ipocrisia, dolore e vergogna, e portando ad una forte diminuzione del numero di aborti clandestini, da sempre pericolosi per la salute della donna.
Ad oltre quarant’anni dalla sua adozione, tuttavia, il pieno accesso all’interruzione volontaria di gravidanza come previsto dalla legge resta ancora da garantire: poco più della metà degli ospedali italiani prevede il servizio di interruzione volontaria di gravidanza; inoltre, risulta molto alto il numero di obiettori all’interno del personale medico.
Queste criticità rappresentano ancora un ostacolo alla attuazione piena della libertà di scelta e di autodeterminazione della donna.
A partire dal 2009 è stati autorizzato in Italia l’utilizzo di farmaci per l’interruzione volontaria di gravidanza (RU 486). La donna, a seguito di prescrizione medica, può scegliere di utilizzare i farmaci anche nel proprio domicilio.
La Giunta regionale dell’Umbria ha pochi giorni fa deliberato l’obbligo di ospedalizzazione di almeno tre giorni per l’interruzione di gravidanza chimica, richiamando le linee di indirizzo del Ministero della Salute che però non sono vincolanti, se è vero che la Regione Emilia-Romagna, Lazio, Toscana e la leghista Lombardia le disattendono.
Si tratta di un grave atto politico, strumentale e consapevole, che renderà più difficile la vita delle donne, la loro libertà ed il principio di autodeterminazione, togliendo loro il diritto di scegliere il metodo meno invasivo peri interrompere una gravidanza.
Non si riportano indietro le lancette della storia quando si tratta dei diritti di autodeterminazione della popolazione.
La soluzione al problema delle gravidanze indesiderate non può essere quello di rendere più difficile il percorso alla donna, ma semmai potenziare i servizi a favore della maternità e fare una seria politica di educazione sessuale che fin dall’adolescenza renda maggiormente consapevoli i nostri giovani.
Condividiamo e sosteniamo i contenuti della partecipata manifestazione che si è svolta lo scorso 21 giugno in Piazza IV Novembre a Perugia, organizzato dalla Rete umbra per l’autodeterminazione, nonché la petizione su Change “Vietato l’aborto farmacologico in day hospital, in Umbria. Combattiamo questo scempio”, che ha già raggiunto 44.000 firme.
Apriremo, infine, in Consiglio Comunale a Città di Castello una discussione sul tema, attraverso un apposito atto che verrà presentato nei prossimi giorni.