La lettera ricordo del dottor Ferdinando Scala, già collega del Colonnello Valerio Gildoni, nel 12mo anniversario della morte

Data:

Eravamo soldati, e giovani

Valerio ed io siamo stati entrambi allievi della gloriosa Scuola Militare Nunziatella di Napoli, tra il 1984 e il 1987, in due sezioni diverse del liceo Classico. Entrambi figli di militari – mio padre era in Aeronautica e il suo nei Carabinieri – condividevamo lo stesso retaggio familiare e gli stessi sogni per il futuro: essere come i nostri padri, e di più.

Valerio era nato Carabiniere, aveva un carattere competitivo, serio e determinato, che lo portava ad affrontare con decisione le sfide di ogni giorno – entrambi avevamo appena quindici anni all’ingresso alla Nunziatella. Sfide che già allora erano lontane dal vissuto dei nostri coetanei, e tanto più da quello dei ragazzi d’oggi. Adattarsi ad una vita spartana e diligente, vivere tra le quattro mura di un collegio alzandosi prima dell’alba, ed ogni mattina, facesse freddo o splendesse il sole, andare in cortile per l’alzabandiera. Studiare in poche ore per essere all’altezza degli standard richiesti dalle interrogazioni, e insieme allenarsi nello sport e nella disciplina militare. Quelle sfide sono state il motore primo della nostra vita di uomini, che nel suo caso ha significato conseguire quattro lauree e diventare uno dei più brillanti ufficiali dell’Arma, destinato senza dubbio a ricoprirne i più alti vertici. Quando ha incontrato la sua nemesi a Bosco di Nanto, il 17 luglio 2009, Valerio aveva appena completato il corso di Stato Maggiore. A noi compagni di corso la notizia è giunta come un fulmine a ciel sereno, e ci ha lasciati increduli e attoniti. Quello che è venuto dopo, la medaglia d’oro, le intitolazioni di piazze e caserme, sono cose importanti, ma che hanno per noi un valore relativo. Avremmo preferito di gran lunga incontrarlo in uno di nostri raduni annuali, i capelli ormai grigi e tre o più stelle ad accompagnare la greca da generale, e vederlo finalmente sciogliersi in un sorriso per aver realizzato il sogno della sua vita. Non abbiamo tante foto insieme, ma una mi è particolarmente cara. È un po’ sfocata, come spesso lo erano quelle scattate con le macchine tradizionali. Una partita di pallavolo durante il primo anno, nel cortile della Nunziatella, un giorno qualunque. Due di noi che saltano a rete, io sto in difesa, le nostre modeste tute da ginnastica blu, in un mondo che conosceva pochi lussi e molta sostanza. Valerio seduto su una panca ai bordi del campo, a osservare l’azione, pronto ad entrare nella partita quando ci fosse stato bisogno di lui. Un’immagine simbolica di quella che sarebbe stata la sua vita, e insieme di un mondo di speranze e di sogni in cui non c’erano né gradi né medaglie, ma solo noi, che eravamo soldati, e giovani.

Ferdinando Scala, già collega di Valerio.

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