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Escursione alla ricerca del “Barone”: una passeggiata fra i secoli di storia, aneddoti e leggenda, a Monte Ruperto

Escursione alla ricerca del “Barone”: una passeggiata fra i secoli di storia, aneddoti e leggenda, a Monte Ruperto, “exclave” in territorio marchigiano ceduta in epoca medioevale dall’allora nobile locale in segno di riconoscenza al comune

Escursione alla ricerca del “Barone”: una passeggiata fra i secoli di storia, aneddoti e leggenda, a Monte Ruperto, “exclave” in territorio marchigiano ceduta in epoca medioevale dall’allora nobile locale in segno di riconoscenza al comune. In 28 appassionati camminatori ed un “cane”, si sono presentati ieri mattina di buon’ora all’appuntamento per l’escursione alla baronia, una originale iniziativa, che era stata annunciata lo scorso mese di giugno dal sindaco Luca Secondi nel corso di una cerimonia ufficiale in consiglio comunale sui 750 anni dall’istituzione di agevolazioni fiscali per gli abitanti dell’epoca e del legame storico che identifica il primo cittadino tifernate anche con il titolo nobiliare di barone, unico caso in Italia. Il comune di Città di Castello, insieme al Club Alpino Italiano (Cai Sezione di Città di Castello) e “I Cammini degli Appennini”, ha organizzato tutti nei minimi dettagli e complice la bella giornata l’iniziativa ha fatto centro e riscosso apprezzamento fra i partecipanti, fra cui il consigliere comunale, Andrea Lignani Marchesani. Il sindaco tifernate a causa di un impedimento dell’ultimo momento non si è unito al gruppo di iscritti alla camminata, ma comunque ha portato il saluto prima della loro partenza. L’escursione ha avuto inizio lungo la valle del Torrente Candigliano in corrispondenza dell’intersezione tra la strada di collegamento San Martino del Piano con Piobbico e la carrareccia che sale a Monte Ruperto. Il primo tratto in salita ha condotto i “camminatori” ai ruderi del casolare Calcineto e poi proseguendo lungo il crinale su traccia di sentiero in direzione sud al casolare di S. Donato: questo tratto panoramico del percorso ha offerto vedute a est verso Monte Nerone e a ovest verso la Massa Trabaria. Poi attraverso una breve deviazione hanno raggiunto il monte Ruperto con i suoi ruderi. Nel corso delle soste previste dal programma, l’ingegner Giovanni Cangi, relatore e storico, affiancato dai referenti del Club Alpino Italiano, Andrea Caiotti e Sauro Gorbi e dal referente dei “Cammini”, Marco Montedori, ha raccontato in maniera davvero coinvolgente tutte le fasi storiche, inframezzate da leggende e aneddoti, che rendono quei luoghi unici e suggestivi. All’interno del territorio, costituito da boschi e segnato da mulattiere, si passa da un’altitudine minima di 412 metri sul livello del mare fino ad una massima di 727. Il Candigliano, affluente del Metauro, delimita il confine settentrionale dell’exclave. Nell’area presenti alcuni ruderi di case, in parte riconoscibili, altri devastati pure dal furto di pietre. “Oltre quello di Monte Ruperto – è stato ricordato – esistevano altri castelli alle sorgenti del Candigliano: il castello di Scalocchio, quello di Citerna sul Candigliano, il Castello di Baciuccheto, con relative chiese che ricordano tradizioni di culto bizantine e longobarde. Testimonianze di vicende storico-religiose di queste terre in epoca Tardo-antica e Altomedievale a ridosso del Corridoio Bizantino. Chiese appartenenti alla Diocesi di Città di Castello, sia quelle di Scalocchio e di Botina, San Lorenzo di Frigino, San Martine del Piano e Madonna della Cella, oltre alla chiesa di San Donato a Monte Ruperto, intitolazione legata al Vescovo longobardo di Arezzo. Nei primi anni ’60 Scalocchio fu centro di una interessante esperienza didattica nota come “Patti per l’Educazione”. 2Le scuole di Scalocchio avevano sede presso l’Abbazia. Vi erano solo due classi per le elementari e le medie con rispettivi tutor. Le lezioni erano tenute da docenti e trasmesse dalla RAI . Nella scuola pertanto c’era un televisore posto nella parete divisoria fra le due classi; di volta in volta veniva girato da un lato e dall’altro. La particolarità sta nel fatto che a Scalocchio non c’era corrente elettrica. Si deve a don Zefferino Caporali, parroco dell’Abbazia, l’idea di piazzare un alternatore alimentato da una turbina idraulica collocata in una cascatella del Candigliano, sufficiente per garantire il servizio. Alla scuola di Scalocchio si formarono molti giovani che poi si trasferirono a Città di Castello per frequentare le scuole superiori, assistiti sempre da Don Zefferino, assegnato alla Parrocchia di Trestina dove, meritatamente, gli è stata dedicata una via”.

LA SCHEDA

C’è un comune in Italia, unico, dove il sindaco vanta anche il titolo di barone a tempo determinato, quindi per la durata del mandato il primo cittadino si fregia anche di un un titolo nobiliare simbolico. A Città di Castello, capoluogo dell’altotevere umbro, con oltre 38mila abitanti, patria del grande maestro Alberto Burri e dell’attrice e Monica Bellucci, è così da otto secoli, da quando la storia ha scritto una pagina davvero inedita che si tramanda di legislatura in legislatura. Questo originale connubio “istituzionale-nobiliare” nasce dal fatto che il comune di Citta’ di Castello è titolare di una piccola porzione di territorio, Monte Ruperto, che ricade nelle Marche, definita “exclave” (aree territoriali appartenenti a una Regione che però si trovano all’interno di un’altra). La particolarità di questa vicenda si perde nella notte dei tempi, quando una sperduta baronia in un remoto luogo dell’Appennino cedette il titolo nobiliare al gonfaloniere di Città di Castello, tramandato ai sindaci che oggi si susseguono. Si narra che una grande carestia dovuta ad incredibili nevicate colpì il Baronato di Monte Ruperto nel XIII secolo e che nessuna delle vicine città inviò aiuti in soccorso della piccola comunità. Dalla relativamente lontana – per i mezzi e le strade dell’epoca – Città di Castello arrivò il cibo necessario a far sopravvivere la piccola comunità. Si dice che il barone, privo di eredi, cedette il piccolo territorio a Città di Castello come segno di gratitudine. La traccia del passaggio sotto il dominio tifernate è datata 25 giugno 1256. È storia documentata poi da un atto pubblico che nel 1274 gli abitanti di Monte Ruperto godessero di agevolazioni fiscali al punto da pagare solo “cinque soldi per focolare per casa da versare il 27 agosto di ogni anno”. E proprio nel 2024 ricorrono i 750 anni da quell’evento a dir poco singolare. Altra verità storica è che in quegli anni vi era la rivalità, spesso sfociata in guerra, tra guelfi e ghibellini. Si racconta, e qui affrontiamo la seconda storia, che il Baronato di Monte Ruperto, essendo in contrasto con le città limitrofe di Apecchio e Sant’Angelo in Vado, abbia chiesto e ottenuto protezione da Città di Castello. Entrambe le storie hanno fondamenti di verità che le rendono plausibili. È probabile che quando Monte Ruperto si unì alla città umbra non si trattasse dell’annessione di un’isola amministrativa, ma fosse in continuità fisica, politica e geografica con il territorio tifernate. Non è un caso che tuttora oggi il confine umbro valichi di alcuni chilometri lo spartiacque sia oltre Bocca Serriola che nella zona di Scalocchio. Nel 1413 gli Ubaldini, signori delle zone limitrofe a Monte Ruperto, si sottomisero ai Montefeltro e di lì a poco tutti i loro territori passarono alle dipendenze di Urbino. Esattamente in quel momento la baronia divenne un’exclave di Città di Castello nel futuro Ducato di Montefeltro. Nel 1630 i territori di Urbino diventarono a tutti gli effetti una provincia dello Stato Pontificio e da allora Monte Ruperto non fu più confinante con un altro Stato, ma con una provincia e legazione della stessa entità politica. I destini della piccola comunità seguirono quelli di Città di Castello con l’ingresso a cavallo tra 1860 e 1861 nel Regno d’Italia, poi diventato Repubblica Italiana nel 1946. La “baronia” ha un’estensione di meno di tre chilometri quadrati e nessun abitante. L’ultima famiglia a lasciare Monte Ruperto fu agli inizi degli anni ’70. All’interno del territorio, costituito da boschi e segnato da mulattiere, si passa da un’altitudine minima di 412 metri sul livello del mare fino ad una massima di 727. Il Candigliano, affluente del Metauro, delimita il confine settentrionale dell’exclave. Nell’area presenti alcuni ruderi di case, in parte riconoscibili, altri devastati pure dal furto di pietre.

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