In merito all’accordo stipulato in queste ore in Umbria non possiamo ignorare che Leonardo è un’azienda impegnata nella produzione di armamenti. La dicitura “uso civile” non può essere considerata, da sola, una garanzia sufficiente sull’effettiva natura delle attività previste né sulle loro prospettive di lungo periodo. L’accordo tra Leonardo e alcune aziende umbre rappresenta certamente un passaggio rilevante, ma proprio per questo merita di essere approfondito e chiarito nel suo significato concreto. Parlare di uso civile non può ridursi a una formula generica o rassicurante: implica una scelta strategica precisa sul modello di sviluppo economico, occupazionale e sociale che si intende promuovere nel territorio.
In un quadro di grave crisi economica, sia a livello locale che nazionale, la politica ha il dovere di non lasciare spazio ad ambiguità. Per l’Umbria, terra che storicamente si richiama ai valori della pace, questa responsabilità assume un significato ancora più profondo. Pensarsi come territorio promotore di una vera economia di pace richiede coraggio, chiarezza e coerenza politica. Occorre indicare con decisione una direzione di futuro fondata su produzioni realmente civili, sostenibili e socialmente utili, escludendo ogni possibile commistione con il comparto militare.
La produzione di armi e di mezzi militari non è soltanto incompatibile con una prospettiva di pace, ma comporta anche un impatto ambientale enorme. È responsabile di emissioni di gas climalteranti paragonabili, se non superiori, a quelle dell’intero comparto aeronautico civile mondiale. A questa criticità si aggiunge una contraddizione grave e inaccettabile: le emissioni legate agli armamenti e ai sistemi militari restano escluse dai principali accordi internazionali sul clima, a partire dagli Accordi di Parigi, come se fossero sottratte a ogni responsabilità ambientale.
Le armi, inoltre, non sono solo una fonte rilevante di inquinamento e di consumo di risorse, ma producono effetti diretti e irreversibili sulle vite umane. In un contesto internazionale segnato da conflitti che colpiscono duramente le popolazioni civili, il ruolo dei Paesi e delle industrie che producono ed esportano armamenti non può essere considerato neutrale. Anche alla luce delle gravi e ripetute denunce di violazioni del diritto internazionale, è necessario interrogarsi sulla coerenza tra scelte industriali, responsabilità etica e rispetto dei diritti umani, affinché la produzione e l’export di armi non contribuiscano a ulteriori tragedie umanitarie.
La vera sfida, dunque, non è semplicemente attrarre investimenti, ma accompagnarli all’interno di una visione di riconversione economica capace di creare lavoro di qualità, stabile e orientato ai bisogni reali della società. Transizione ecologica, ricerca, mobilità sostenibile, innovazione tecnologica e servizi ad alto valore aggiunto rappresentano ambiti nei quali le competenze industriali umbre possono trovare applicazioni durature, contribuendo a uno sviluppo responsabile e lungimirante.
In questo quadro, la tutela dell’occupazione non può essere separata dalla tutela del futuro. Difendere il lavoro e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori significa anche battersi per un modello di sviluppo che non sia fondato sulla guerra e sulla distruzione, ma sulla pace, sulla solidarietà tra i popoli e sulla giustizia sociale. Non esiste vera protezione del lavoro senza una prospettiva di pace e senza uno sviluppo sostenibile per le nuove generazioni.
È quindi fondamentale che il richiamo all’uso civile si traduca in scelte coerenti e strutturali, sostenute da politiche industriali chiare e da un confronto reale, trasparente e continuo con lavoratori, lavoratrici e comunità locali.
Solo attraverso un modello di sviluppo realmente sostenibile, fondato sulla pace, sulla giustizia sociale e sull’innovazione responsabile, è possibile contrastare in modo strutturale disuguaglianze, disoccupazione e precarietà. Un modello capace di creare lavoro dignitoso e stabile, tutelare il territorio e le risorse comuni e garantire alle future generazioni prospettive di crescita che non siano fondate sullo sfruttamento, sulla guerra e sul consumo irreversibile dell’ambiente.
Solo così gli accordi annunciati potranno diventare un’opportunità concreta per fare dell’Umbria una sentinella di un altro modello di sviluppo, capace di contrastare le logiche di guerra, disuguaglianza e precarietà e di costruire un futuro solido, responsabile e autenticamente orientato alla pace.



