Si è concluso, nel tempo luminoso del Natale, il Giubileo 2025 nella Diocesi di Città di Castello. Un anno santo intenso, vissuto come autentico pellegrinaggio di fede nelle chiese giubilari della cattedrale e del santuario della Madonna del Transito di Canoscio, segnato da celebrazioni penitenziali, ascolto della Parola, catechesi e cammini comunitari.
Il momento culminante è stato la solenne celebrazione di sabato 27 dicembre, nella cattedrale dei Santi Florido e Amanzio, presieduta dal vescovo Luciano Paolucci Bedini, in occasione della Festa della Santa Famiglia.
“La speranza che non delude”
Nell’omelia, il vescovo ha subito collocato la chiusura del Giubileo dentro il mistero del Natale: «Con il volgere dell’anno, nel tempo santo del Natale, si chiude anche l’anno giubilare che abbiamo vissuto all’insegna della Speranza che non delude, quella di Gesù, morto e risorto per noi». Una speranza che non nasce dall’illusione, ma dall’amore di Dio «che lo Spirito Santo ha riversato nei nostri cuori».
Richiamando il cammino dell’intera Chiesa universale, mons. Paolucci Bedini ha ricordato come il Giubileo sia stato aperto da papa Francesco e guidato fino alla conclusione «con il desiderio che tutta la Chiesa, pellegrina di speranza, possa essere casa e scuola di comunione e di unità per tutto il genere umano».
Una grazia che chiede conversione
Con realismo evangelico, il vescovo ha riconosciuto che l’Anno santo non ha cancellato le ferite del mondo: «Il Giubileo non ha magicamente risanato le tante ferite dell’umanità». Eppure, ha aggiunto, è stato spazio fecondo di grazia: «La preghiera di molti, soprattutto dei più piccoli e fragili, ha manifestato il desiderio struggente di pace e salvezza che abita il cuore dei popoli».
Un’immagine forte ha attraversato l’omelia: quella della porta spalancata. «Come spalancate sono le braccia di Dio per ogni suo figlio, così quella porta è stata occasione di rinnovamento per chi ha avuto il coraggio di uscire dalle proprie comodità e intraprendere il cammino della conversione».
La Santa Famiglia, grembo di speranza
Non casuale il riferimento alla Festa della Santa Famiglia: «La santità della loro vicenda credente – ha detto il vescovo – diventa per noi grembo di fede e di speranza nel cammino della storia». In Gesù che “venne ad abitare in mezzo a noi”, Dio ha scelto la via della prossimità: «Il progetto della salvezza ha preso casa tra le mura della nostra vita quotidiana».
Le case degli uomini, luoghi da abitare
Ampio spazio è stato dedicato al tema delle case, come luogo concreto dove custodire la speranza: «L’inizio di ogni speranza per il nostro mondo passa dalla cura delle case degli uomini». Case chiamate a tornare a essere «accoglienti e ospitali, capaci di custodire relazioni di cura e di rispetto».
Un richiamo diretto ha riguardato le famiglie: «Troppo spesso belle, ma vuote… perché tornino a essere culle della vita e santuari dell’amore». E lo sguardo si è allargato a chi una casa non ce l’ha, alle case di cura, alle case di accoglienza, luoghi che «hanno bisogno di volti e di cuori capaci di ascoltare e stringere mani tremanti».
Parrocchie e casa comune
Non sono mancate parole forti sulle parrocchie, chiamate a essere «case tra le case», con porte e finestre aperte, capaci di non restare «estranee alla storia degli uomini». Infine, l’attenzione alla casa comune, il creato: «Santa madre terra che gratuitamente abitiamo, di cui siamo custodi distratti e ingrati», ma che ci educa al rispetto e alla fraternità.
La speranza custodita nella carità
La conclusione dell’omelia ha affidato all’assemblea un mandato chiaro: «L’anno santo si chiude, ma non è chiuso il cuore di Dio». La speranza va custodita nella carità, come ricorda san Paolo: «Sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto». «È nella carità – ha ribadito il vescovo – che si custodisce la speranza».
La bellezza che diventa preghiera
Ad accompagnare la celebrazione è stata la Schola Cantorum Anton Maria Abbatini, diretta da Alessandro Bianconi, che ha sostenuto la liturgia con canti di grande intensità spirituale. In particolare, il O Magnum Mysterium di Morten Lauridsen ha avvolto la cattedrale in un clima di profonda contemplazione del mistero dell’Incarnazione.
Il Giubileo si è così concluso nella Chiesa tifernate, ma il suo frutto resta affidato alla vita quotidiana delle comunità: l’anno santo termina, la speranza resta, come riconsegna e come vocazione per tutti.



