Con la fascia di sindaco anche il titolo nobiliare di “barone”. Storia e curiosità dell’enclave del monte Ruperto

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Con la fascia di sindaco anche il titolo nobiliare di “barone”. Da quasi otto secoli la storia assegna questo inedito connubio al comune di Citta’ di Castello in virtù di una piccola porzione di territorio fra Umbria e Marche, Monte Ruperto, definita “exclave o enclave” (aree territoriali appartenenti a una regione che però si trovano all’interno di un’altra. Pochi esempi quasi tutti nel Nord e Centro Italia) – Si narra poi che nel 1274 gli abitanti di quella zona lontana dal comune godessero di agevolazioni fiscali al punto da pagare solo “cinque soldi per focolare per casa da versare il 27 agosto di ogni anno” – Sabato 25 maggio nella sala consiliare una giornata di studi con esperti, storici e rappresentanti istituzionali delle due regioni per rinverdire i fasti del passato e fare il punto su un aspetto inedito di una comunità

Con la fascia di sindaco anche il titolo nobiliare di “barone”. Da quasi otto secoli la storia assegna questo inedito connubio al comune di Citta’ di Castello in virtù di una piccola porzione di territorio fra Umbria e Marche, Monte Ruperto, definita “exclave” (aree territoriali appartenenti a una regione che però si trovano all’interno di un’altra. Pochi esempi quasi tutti nel Nord e Centro Italia).

E ‘ senza dubbio una curiosità storica il fatto che il primo cittadino tifernate si possa fregiare del titolo nobiliare per volontà espressa nell’eredità testamentaria dei proprietari del castello (l’allora Barone) che possedevano il feudo medioevale. Il primo cittadino del comune capoluogo, ha ereditato dunque il piccolo borgo all’epoca delle lotte fra guelfi e ghibellini. Si narra poi che nel 1274 gli abitanti di quella zona lontana dal comune godessero di agevolazioni fiscali al punto da pagare solo “cinque soldi per focolare per casa da versare il 27 agosto di ogni anno”. Carte alla mano sul piano regolatore generale del comune di Città di Castello dal punto di vista geografico la “Baronia” confina con i comuni di Apecchio e Sant’Angelo in Vado e quindi oltre ad essere un parte di Umbria nelle Marche è anche un pezzo della Provincia di Perugia ubicato in quella di Pesaro e Urbino.

Ha un’estensione di meno di tre chilometri quadrati e nessun abitante: L’ultima famiglia a lasciare Monte Ruperto fu quella dei Gnucci, attorno alla metà degli anni ’60. All’interno del territorio, costituito da boschi e mulattiere, si va da un’altitudine minima di 412 metri sul livello del mare fino ad una massima di 727. Il Candigliano, affluente del Metauro, delimita la parte settentrionale di confine dell’exclave. Sono presenti alcuni ruderi di case, alcuni riconoscibili, altri devastati pure dal furto di pietre. In loco non c’è alcuna cartellonistica stradale o legata alle zone di caccia che faccia comprendere che si sta passando da una regione all’altra. A distanza di quasi otto secoli dall’istituzione di questo “extra-territorio” che rende ogni sindaco eletto dal popolo anche barone con tanto di gradi “nobiliari”, il comune tifernate ha deciso di organizzare una giornata-studio per rinverdire i fasti del passato e far conoscere questa originale parentesi di storia che si tramanda da secoli.

“La Baronia di Monte Ruperto. Origini e vicende storiche dell’enclave Umbra nel territorio delle Marche”, è il titolo del convegno che si svolgerà sabato 25 maggio, alle ore 10 presso la sala consiliare alla presenza dei sindaci di Città di Castello ed Apecchio, di rappresentanti istituzionali e storici come l’ingegner Giovanni Cangi, “Collaboratore di importanti università e consulente dell’ITABC (Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali) del CNR che sarà affiancato da Leonello Bei, esperto di storia del territorio marchigiano e l’architetto Marcella Mariani, responsabile servizio Urbanistica e Pianificazione Settore Assetto del Territorio, Edilizia e Ambiente e dal giornalista Massimo Zangarelli, moderatore. La giornata di studio sulla Baronia di Monte Ruperto, si prefigge di far conoscere alla cittadinanza le origini e le vicende storiche dell’isola amministrativa della baronia d’oltre confine, una parte di Umbria dentro le Marche e riportare in primo piano una parte di storia cittadina.

L’altro aspetto importante di questo approfondimento darà la possibilità di stuzzicare la curiosità nelle nuove generazioni alla conoscenza del territorio, alla spiegazione di certe vicende sociopolitiche e culturali che negli anni ne hanno caratterizzato lo sviluppo e l’economia. “Il nostro è un territorio – spiegano gli organizzatori della giornata di studi” – come tanti altri, legato per molti aspetti alla capacità dei reggenti dell’epoca, vedi le tante famiglie tifernati passate alla storia, di cui quella più importante è la famiglia Vitelli, signori indiscussi per circa tre secoli, che ne hanno lascito testimonianza non mancando di incoraggiare le arti, e rendere la loro patria magnifica e famosa per le sue bellezze. Della loro potenza militare ed economica sono pervenuti ai giorni nostri i loro palazzi, che hanno contribuito ad arricchire un patrimonio storico ed artistico già importante, trasformando la nostra città da medievale a rinascimentale, legando indissolubilmente il loro nome a Città di Castello”. Monte Ruperto è una “exclave ed enclave” del Comune di Città di Castello in territorio Marchigiano, situata fra i comuni di Apecchio e di Sant’Angelo in Vado.

L’area è collocata oltre il crinale dell’Appennino, nell’Alta valle del Candigliano, affluente del Metauro che ha origine dalla confluenza fra fossi di Botina e quello di Scalocchio, alle pendici del Valmeronte, nel punto dove sorge l’antica Abbazia di San Benedetto. Le complesse vicende storiche che hanno determinato la dipendenza di Monte Ruperto dal Comune di Città di Castello hanno origine in epoca tardo-antica, in seguito alla riconquista bizantina della penisola seguita alla guerra greco-gotica e alla successiva penetrazione longobarda in Altotevere. Un’operazione condotta con l’obiettivo di puntare al controllo della Flaminia all’altezza del Furlo, che ebbe esito nella definizione dei confini del Corridoio Bizantino.

L’azione di contenimento dell’espansione longobarda si concretizzò con la creazione di un sistema di fortificazioni distribuite inizialmente lungo il crinale del massiccio toscano, poi alla sinistra del Tevere, come frontiera difensiva destinata a modificarsi rapidamente in seguito all’evoluzione delle fasi belliche. E’ in questo periodo di grandi trasformazioni sociali, economiche, politiche e religiose, che sorgono i primi presidi a controllo del territorio distribuiti lungo le principali vie di comunicazione, all’ombra dei quali vengono costruite piccole chiese o pievi dedicate ai santi protettori di tradizione bizantina o longobarda; simboli di una contrapposizione religiosa (fra cattolici e ariani) in realtà militare.

A ridosso di queste fortificazioni iniziarono a formarsi i primi nuclei abitati secondo una tipologia di insediamento che la storia non aveva ancora conosciuto e che si affermerà durante il medioevo con la formazione di piccoli borghi e centri di maggiori dimensioni. Castelli, chiese e mulini andranno a costituire l’embrione di qualsiasi insediamento medievale e Monte Ruperto costituisce un esempio interessante, con il suo castello e la chiesa di San Donato, non a caso di tradizione longobarda. Da Monte Ruperto si scende pertanto lungo la valle del Candigliano fino al Furlo per immettersi nella valle del Metauro verso la costa adriatica, pertanto l’area aveva assunto un importante ruolo strategico per il controllo del territorio. Il destino di Monte Ruperto è legato a quello di Scalocchio, rimasto sotto il dominio di Città di Castello durante il medioevo, nonostante i contrasti con gli Ubaldini della Carda, Signori di Apecchio.

Curiosità. L’ultima famiglia a lasciare Monte Ruperto fu quella dei Gnucci, attorno alla metà degli anni ’60. Torniamo indietro nel tempo e proviamo a raccontare due diverse storie che non si contraddicono tra di loro e che sono entrambe al confine tra leggenda e verità. Una di queste narra il fatto che una grande carestia dovuta ad incredibili nevicate colpì il Baronato di Monte Ruperto nel XIII secolo e che nessuna delle vicine città inviò aiuti in soccorso della piccola comunità. Dalla relativamente lontana – per i mezzi e le strade dell’epoca – Città di Castello arrivò il cibo necessario a far sopravvivere la piccola comunità. Si dice che il Barone, privo di eredi, cedette il piccolo territorio a Città di Castello come segno di gratitudine. La traccia del passaggio sotto il dominio tifernate è datata 25 giugno 1256. È storia documentata da un atto pubblico che nel 1274 gli abitanti di Monte Ruperto godessero di agevolazioni fiscali al punto da pagare solo “cinque soldi per focolare per casa da versare il 27 agosto di ogni anno”. Altra verità storica è che in quegli anni vi era la rivalità, spesso sfociata in guerra, tra guelfi e ghibellini.

Si racconta, e qui affrontiamo la seconda storia, che il Baronato di Monte Ruperto, essendo in contrasto con le città limitrofe di Apecchio e Sant’Angelo in Vado, abbia chiesto e ottenuto protezione da Città di Castello. Entrambe le storie hanno fondamenti di verità che le rendono plausibili. Anche ai giorni nostri sono successi episodi di cronaca invernale che ci ricordano l’epopea di Monte Ruperto. Non è un caso che nel 2012 una famiglia che abitava nella frazione tifernate di Scalocchio, non lontana dall’exclave e propaggine oltre lo spartiacque appenninico di Città di Castello, sia stata raggiunta ed evacuata in elicottero a causa di una nevicata che l’aveva isolata dal mondo per diversi giorni. Cinque anni dopo furono due le famiglie nella stessa zona ad essere soccorse, sempre a causa delle abbondanti nevicate, da un gatto delle nevi.

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